LA PREVIDENZA COMPLEMENTARE

A seguito e completamento della riforma delle pensioni, che andrà a regime nel gennaio 2008, il Governo ha autonomamente approvato dopo interminabili confronti con le parti sociali (sindacati e imprese) la riforma della previdenza complementare (il cosiddetto secondo pilastro) nel dicembre del 2005.

Di cosa stiamo parlando? Cos’è la previdenza complementare ?
Ad oggi possiamo affermare che esiste una previdenza “statale” obbligatoria che eroga gli assegni pensionistici (INPS per il privato, INPDAP per il pubblico ed altri Enti minori) e una previdenza complementare solo su base volontaria attraverso la costituzione di Fondi Pensione di Categoria chiusi, generati e gestiti da accordi fra triplice sindacale, Confindustria e altre Associazioni datoriali, alimentati con una quota volontaria del T.F.R. dei lavoratori (che ricordiamo essere salario differito e che rappresenta il 7% circa della retribuzione annuale lorda, pari approssimativamente ad una mensilità netta) e da un contributo del datore di lavoro.
Le prestazioni erogate dagli Enti previdenziali a favore degli ex lavoratori dipendenti, hanno portato, nel 2004, ad una spesa complessiva di oltre 153mila milioni di euro. Di questa circa il 67% è stata erogata dall’INPS ai pensionati ex dipendenti del settore privato, il 32,5% dall’INPDAP e dagli altri fondi che assicurano i lavoratori del settore pubblico.

Nell’ambito dell’INPS, il Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti (FPLD), che assicura oltre 12 milioni di lavoratori dipendenti, ha registrato una spesa di oltre 101mila milioni di euro nel 2004, in aumento del 4,2% rispetto al 2003. A fronte di tale aumento il fondo ha registrato un calo del numero dei trattamenti erogati dello 0,1%.

Per quanto riguarda le gestioni dell’INPDAP, le Casse dei Sanitari, degli Ufficiali giudiziari e degli Insegnanti d’asilo fanno segnare tra il 2003 e il 2004 un aumento superiore all’incremento medio del sistema (4,5%).
Nel periodo considerato è in leggera crescita il numero degli assicurati sia nelle gestioni INPS sia in quelle INPDAP, con aumenti rispettivamente dello 0,3% e dell’1,3%. Se si considera il rapporto tra assicurati e prestazioni erogate dall’INPS si osserva che ogni prestazione è coperta da 1,2 assicurati, in linea con l’indice INPDAP (una pensione a fronte di 1,3 assicurati).
Passando ad analizzare gli enti e le gestioni che si occupano delle forme di previdenza di base obbligatorie per i liberi professionisti, si rileva un ampliamento della platea degli assicurati, che tra il 2003 e il 2004 è stato del 3,6%. La tendenza all’aumento ha riguardato tutte le Casse, ad eccezione della Cassa dei Ragionieri e dei Periti Commerciali, interessata da una lieve flessione del numero degli assicurati.

Nell’ambito delle Casse professionali, quella che eroga il maggior numero di trattamenti è la Cassa dei Medici (ENPAM) con oltre 132mila trattamenti nel 2004, mentre, invece, l’ente che eroga le pensioni più cospicue in termini di importo medio è la Cassa dei Notai (oltre 60mila euro annui).
Nei fatti il sistema previdenziale sta generando una serie di divisioni, attualmente poco evidenti, ma che rischiano di diventare realtà quando le generazioni dei contribuenti attuali, in particolare i più giovani, accederanno alla pensione. Almeno tre vanno segnalate, quelle relative a:


- livelli di reddito
- generazioni
- tipologie contrattuali

La prima taglia trasversalmente la previdenza obbligatoria e quella dell’autotutela, visto che il sistema contributivo, rispetto a quello retributivo, è sempre penalizzante per i redditi bassi e tutti gli strumenti di autotutela mostrano una curva di sottoscrizione crescente al crescere del reddito.
Il divario generazionale era inscritto nella Legge Dini che lasciava col vecchio sistema di computo della pensione coloro che avevano almeno 18 anni di versamenti, fissava un sistema misto per coloro con versamenti inferiori a 18 anni, mentre per i nuovi lavoratori dal 1996 in poi imponeva il contributivo.
Ma il divario generazionale e anche quello per livelli di reddito si è andato a incastrare con quello per tipologie contrattuali, reso evidente dalla formazione della gestione separata per gli atipici.

Questa è un esempio di successo dal punto di vista della gestione, con oltre 3 milioni di iscritti e un risultato di esercizio positivo e in crescita cui, però, corrisponde un’evidente futura incapacità di garantire redditi pensionistici adeguati viste le basse aliquote (che generano un basso montante) e i redditi ridotti. Le stime, infatti, indicano nel 30% il tasso di sostituzione sul reddito ovvero l’ammontare dell’assegno pensionistico rispetto allo stipendio percepito.
Tutto questo ci fa capire che con una simile riduzione dell’assegno pensionistico, il lavoratore che è stato assunto dopo il 1 gennaio 1995, sarà costretto ad integrare la pensione erogata dagli Enti previdenziali statali, con una forma pensionistica complementare finanziata con il proprio T.F.R. per avere una reddito che consenta una vita decorosa. In sostanza, si va profilando nel lungo periodo un pericoloso divario tra le aspettative crescenti sulla terza età e la produzione di reddito e ricchezza capace di trasformale in realtà. L’incertezza data dal nuovo modello previdenziale, che non riesce a ridefinirsi, contribuisce in modo decisivo a questa pericolosa deriva sociale.

Anche nel dibattito politico sul T.F.R., se si esclude la posizione ripetuta fino alla nausea dal Sin.Pa., che non ha mai smesso di ricordare che si tratta di salario differito che appartiene ai lavoratori, poco è stato detto su cosa il T.F.R. abbia rappresentato per intere generazioni di famiglie italiane e quanto quell’accantonamento abbia poi contribuito alla costruzione per generazioni successive del benessere delle famiglie.
Si è così trascorsa un’enormità di tempo nel discutere su chi avrebbe dovuto gestire il T.F.R. tralasciando che, dal punto di vista dei cittadini, soprattutto in un sistema così confuso e traballante, il TFR era ed è ancora molto importante proprio per la sua capacità di dare sicurezza al futuro.
Sulla modalità del suo utilizzo a fini previdenziali, invece, è emersa l’incapacità di elaborare forme adeguate di tutela della libertà di scelta in condizioni di trasparenza informativa; è, infatti, fondamentale portare la responsabilità individuale a potere scegliere come e dove indirizzare il proprio risparmio, avendo un quadro preciso di costi, benefici ed effetti collaterali della scelta stessa.

Ma veniamo al contenuto della riforma recentemente approvata. A partire dal 1 gennaio 2008 il lavoratore dovrà decidere, entro sei mesi, tra varie possibilità:
- lasciare il proprio T.F.R. in azienda dove è rivalutato annualmente dell’1,5% più il 75% dell’inflazione programmata

- conferirlo in fondi chiusi costituiti e gestiti da triplice sindacale e Associazioni dei datori di lavoro
- destinarlo in fondi aperti (gestiti da istituti di credito e assicurazioni)
- indirizzarlo verso polizze previdenziali individuali

Qualora il lavoratore non effettui alcuna scelta il suo T.F.R. sarà conferito ai fondi di categoria negoziali (in mancanza alla cassa residuale INPS) mediante il principio del silenzio assenso. Su questo punto il Sin.Pa., presente a tutta la trattativa sulla riforma, ha sempre espresso la sua contrarietà e ribadito la necessità che il lavoratore sia lasciato libero di scegliere, in maniera consapevole, senza automatismi.

Il Sindacato Padano aveva inoltre avanzato al Governo proposte a tutela del T.F.R. dei lavoratori: tra queste le principali erano l’informazione capillare e la pariteticità tra i vari fondi. Proprio su questo punto avevamo indicato la nostra preferenza per i fondi regionali, laddove istituiti, sul modello di quello operante nella regione Trentino Alto Adige che sta dando risultati brillanti e prova di serietà e trasparenza di gestione.
Per dare maggiore incisività alla nostra proposta avevamo presentato un emendamento al testo del decreto che prevedeva:

- al punto 1) che fosse demandata alle Regioni la costituzione di Fondi Pensione Regionali
- al punto 2) che l’adesione ai Fondi Pensione Regionali potesse avvenire oltre che su base individuale, anche su base collettiva a livello regionale mediante contratti e accordi regionali, anche aziendali, accordi fra soli lavoratori, ovvero mediante regolamenti di Enti o Aziende

Sempre seguendo quest’ottica in occasione degli incontri svoltisi con la Regione Lombardia per esprimere le nostre considerazioni sul Documento di Programmazione Economica e Finanziaria regionale per il 2006, abbiamo indicato come prioritaria l’istituzione di un Fondo di Previdenza Complementare Regionale che si ponga come obiettivo la salvaguardia dei risparmi odierni e del potere d’acquisto futuro dei lavoratori lombardi. Riteniamo, infatti, che solo l’istituzione Regionale possa avere le competenze necessarie per mettere a disposizione dei cittadini uno strumento che sia gestito con oculatezza e abbia finalità di protezione sociale.

Il Decreto approvato dal Consiglio dei Ministri a fine novembre, invece, secondo noi, pone le basi perché Organizzazioni Sindacali e Associazioni Datoriali ricevano ogni anno migliaia di miliardi di vecchie lire da gestire.
Infatti, oltre a confermare il canale privilegiato per i fondi negoziali attraverso principio del silenzio-assenso, il Decreto prevede che il contributo a carico del datore di lavoro sia conferito solo al fondo “negoziale” indirizzando così di fatto il lavoratore ad optare per questa soluzione.

Per meglio fare comprendere in che modo i lavoratori siano spinti in questa direzione, abbiamo predisposto un esempio (diffuso a dicembre in un volantino che troverete allegato integralmente) di cosa comportino le tre possibili scelte:

1) Trasferimento del T.F.R. ai fondi negoziali:

T.F.R. trasferito al fondo in un anno: € 1.200  
T.F.R. trasferito al fondo in un mese: € 100 (1.200 : 12)
contributo mensile del datore di lavoro: € 12 (1% della retribuzione)

 

2) Trasferimento del T.F.R. ai fondi aperti o ad una polizza individuale:

T.F.R. trasferito al fondo in un anno: € 1.200  
T.F.R. trasferito al fondo in un mese: € 100 (1.200 : 12)
contributo mensile del datore di lavoro: € 0 (il decreto non lo concede)

3) Scelta di lasciare il T.F.R. in azienda:

Il T.F.R. è accantonato e rivalutato ogni anno di una percentuale pari a 1,5 + il 75% della percentuale d’inflazione programmata.

Concludendo il Sin.Pa. ritiene penalizzante la norma del Decreto che prevede che i fondi “negoziali” siano la naturale destinazione del T.F.R. (che ricordiamo essere salario differito) e si adopererà in ogni sede affinché, nei prossimi due anni prima dell’entrata in vigore, sia ristabilita l’equiparazione tra fondi negoziali e aperti, compresi quelli regionali già indicati dalla Legge Delega, ripristinando la possibilità per il lavoratore di destinare alla forma pensionistica prescelta anche il contributo a carico del datore di lavoro.
Proprio per questi motivi riteniamo che si debba perseguire la strada della trasparenza e della tutela degli interessi dei lavoratori basandosi sulla reale democrazia di una scelta che non deve essere indirizzata da nessuno.
I lavoratori del Nord hanno già subito in passato le conseguenze di una riforma pensionistica che li ha penalizzati, grazie a chi, in precedenza, ha gestito le casse dell’INPS.
Qualora non siano apportate le modifiche richieste, il Sin.Pa. darà indicazione ai lavoratori, nella attesa che si superi l’attuale clima di incertezza, di lasciare il proprio T.F.R. in azienda.

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